Il baghet - Cornamuse della Franciacorta

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Il baghet

GLI STRUMENTI


Il baghèt

Con il termine "baghèt" viene indicata una cornamusa diffusa nella provincia di Bergamo, Brescia e nelle valli alpine tra queste due città ed il Trentino.
Lo strumento è rimasto in uso fino agli anni '40 unicamente nella media Valle Seriana ed in corrispondenza della confluente Val Gandino: l' ultimo suonatore di questa generazione di "baghèter" è stato Giacomo "
Fagòt" Ruggeri, di Casnigo - Bg (1905-1990).
Il ricercatore Valter Biella lo ha incontrato e ne ha raccolto l' eredità musicale e culturale:  ciò ha permesso di salvare questo strumento popolare da una assai probabile estinzione.

Lo strumento appartiene alla famiglia delle cornamuse (quindi delle "ance") diffuse in tutta l'Europa occidentale, sia pure con realizzazioni anche molto diverse tra di loro, come ad esempio, la "bagpipe" scozzese, la "gaita" asturiana, la "piva", ecc. I suonatori erano quasi unicamente contadini (quindi non
pastori come è nella tradizione della zampogna) e lo strumento nel suo uso quotidiano seguiva i ritmi e le consuetudini di questa classe sociale. Veniva suonato quasi solamente d' inverno con l' inizio del primo freddo, quando il minor lavoro dei campi lasciava il tempo necessario per aggiustare e preparare il baghèt, riparando o sostituendo il sacco se era necessario, e rifacendo le ance. Del repertorio facevano parte i canti tradizionali, i brani ballabili, le "pastorelle" natalizie. D'estate lo strumento era poco utilizzato sia perchè la giornata era dedicata interamente al lavoro nei campi o nei boschi, sia per il problema della tenuta della cera d'api necessaria alla intonazione dello strumento. Solitamente il "baghèt" veniva poi riposto dopo il carnevale, per essere poi ripreso l' autunno successivo.

Lo strumento è costituito da un sacco detto "baga" (pancia, da cui il nome dello strumento), in pelle di pecora o di capra, sigillato, tagliato e ripiegato a metà con il pelo rivolto all' interno ricucito sul bordo inferiore. Oggi come oggi, anche per motivi igienici la baga è realizzata in gomma vulcanizzata o goretex.

Dalla "baga" escono: la canna del canto, conosciuta come "diana" o "pìa", quella che nelle cornamuse scozzesi si chiama "chanter"; il bordone minore, detto "prim òrghen"; il bordone maggiore, detto "second òrghen". Il suono vero e proprio è generato dalle ance contenute nei tre canneggi, detta "
pi-ì". Le ance del chanter sono doppie e sono legate tra di loro da un sottile filo ed una graffetta di ottone. La maggiore o minore legatura tra le ance, rende le stesse di utilizzo più morbido, ma con un volume sonoro inferiore in quanto entrano in risonanza con una minor pressione dell'aria, o più duro, ottenendo una pressione sonora maggiore.Un tempo le ance erano realizzate in canna, ora per lo più sono realizzate con materiale plastico per una maggiore stabilità e tenuta all' umidità, anche se molti baghetèr preferiscono utilizzare ancora le ance in canna, per via del loro suono decisamente migliore, a fronte di una manutenzione molto maggiore, soprattutto nella stagione invernal quando l'umidità e la condensa creano continui problemi di stabilità.


la "diana" con la sua ancia innestata ed il finale in osso




Il chanter, o diana, presenta in tutto  otto fori, di cui sette anteriori (da chiudere con indice, medio ed anulare della mano sinistra e indice, medio, anulare e mignolo della mano destra) ed uno posteriore in alto da chiudere con il pollice della mano sinistra secondo la tradizione più antica. Oggi come oggi si usano indifferentemente la mano sinistra sinistra o quella destra a scelta dell' esecutore (nota: nei Paesi dell'est è preponderante l'uso della mano destra in alto e quella sinistra in basso, da noi in occidente si usa preferibilmente la medesima posizione del flauto dolce, quindi con la destra in alto e la sinistra sotto) . Sono inoltre presenti due fori posti alla base della campana, detti "orecie", che servono per stabilizzare l' intonazione dello strumento.

L'accordatura si ottiene, oltre che estraendo o inserendo l'ancia nella sua sede secondo la necessità, proprio come avviene nell' oboe classico, anche correggendo la dimensione dei fori con l' aiuto di cera d'api; questo rende la manutenzione sullo strumento particolarmente complessa e piuttosto laboriosa, sopratutto perchè l' utilizzo della cera d'api si pone in stretta correlazione con le condizioni climatiche e particolarmente quelle stagionali.

Con la pressione dell' avambraccio sulla
baga si ottiene la pressione sufficiente affinché sia le ance dei bordoni sia quelle della diana entrino in vibrazione e producano il suono. Ovviamente ad ance più "dure" corrisponde un suono più potente ma anche una maggiore fatica nel suonare in quanto richiedono una pressione maggiore per essere messe in vibrazione.La pressione esercitata dall' avambraccio deve variare in modo dinamico e continuo per compensare la quantità di aria presente nella "baga" e quindi la sua pressione ed è proprio la capacità nel compensare di continuo la maggiore o minore pressione nella "baga" che rende difficile ottenere stabilità di emissione del suono in questo strumento. Per i primi tempi, infatti, i musicisti che intendono avvicinarsi al baghèt usano utilizzare una sorta di strumento muto realizzato con una canna di vetro parzialmente riempita d'acqua per esercitarsi a mantenerne stabile il livello. L'emissione del fiato non è continua come negli strumenti a fiato ma è legata al mantenimento della pressione nella baga e quindi è il musicista con la sua esperienza che sceglie i tempi di emissione del fiato indipendentemente dalla melodia. Questo aspetto per un musicista tradizionalmente abituato ad associare respirazione e suono crea diverse difficoltà nell' apprendimento.

L'estensione dello strumento è di un'ottava a partire dalla
sensibile, che si ottiene chiudendo tutti i fori della "diana", sino alla settima nota superiore che si ottiene aprendo tutti i fori. Da ciò si può capire che in questo tipo di strumento, a differenza della zampogna, entrambe le mani vengono tenute sulla "diana", come per altro avviene nel flauto dolce.

Tradizionalmente lo strumento è accordato in DO o in SOL, ma si trovano anche strumenti con un "
pitch" diverso ovvero in  Sib per poter avere una maggiore brillantezza e potenza di suono che ben si addice allo spettacolo all'aperto ed al repertorio medievale.

Le musiche

Il numero delle arie popolari per baghèt recuperate a tutt' oggi è abbastanza limitato ed è per lo più composta da trascrizioni di bani appartenenti alla tradizione popolare in genere non originali per questo strumento. L'utilizzo sempre più raro dello strumento, messo all' indice nei secoli scorsi dalla Chiesa che lo definiva la "sacca del diavolo" in quanto utilizzato in feste popolari spesso smodate, ha fatto sì che gran parte del repertorio dei brani ballabili andasse perso. Allo stesso modo la difficoltà di utilizzo, i problemi di continua manutenzione per il mantenimento di una intonazione decente e la sua potente voce che tende a sovrastare ogni altro strumento, l' hanno relegato in ruoli sempre più marginali e questo ha contribuito alla sua quasi totale scomparsa.

Bibliografia essenziale

  • V. Biella, Baghèt o piva delle Alpi,Quaderni di ricerca n° 3, A.R.P.A., Bergamo 1984V.

  • Biella, Ricerca sulla piva nel bergamasco, Preprint n° 4, Università degli studi di Bologna, Dipartimento di Musica e Spettacolo, Bologna 1985

  • V. Biella, Il "baghèt" un'antica tradizione bergamasca, Edizioni Villadiseriane, Bergamo 1988



 
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